Diagnosi di dislessia

Disturbi specifici dell’apprendimento

Linguaggio e abilità prassiche nella scuola dell’Infanzia (contributo pubblicato in rivista FISM Prima i
Bambini 2015)

La legge n.170 (Ottobre del 2010) in materia di Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) ha
dato il via ad una stagione di grandi cambiamenti nello scenario scolastico italiano. La Legge
sancisce in modo inequivocabile il diritto ad apprendere anche per quei bambini che, a causa di
una neurodiversità per molti anni son stati etichettati come svogliati disattenti o, cosa ancora più
grave, poco intelligenti e dunque inadatti ad un regolare percorso di studi. Oggi noi sappiamo che
la dislessia, come gli altri DSA e’ una condizione che prescinde dall’intelligenza della persona che in
alcuni casi può essere anche superiori alla norma; i bambini che presentano questa caratteristica
evolutiva sono perfettamente in grado di apprendere e di raggiungere qualsiasi traguardo
scolastico a patto che la scuola riconosca per tempo le loro difficoltà settoriali (ad es. nella lettura)
e attivi subito una serie di strategie didattiche atte ad aiutare il bambino nello studio e ad evitare
inutili, e spesso nocivi, effetti di cristallizzazione del disturbo con conseguenti ricadute sulla
personalità. La legge tuttavia non e’ ancora riuscita a modificare anni di psicopedagogia incentrati
sul conseguimento di abilità strumentali visti come unico o quantomeno principale obiettivo
didattico. La legge, pur ponendo in essere una serie di provvedimenti importantissimi ha tuttavia
lasciato scoperto una importantissima fase scolastica : la scuola dell’infanzia. Da un punto di vista
teorico la cosa potrebbe essere spiegata con la semplice constatazione che nella scuola
dell’infanzia non vi e’ ancora la necessità di leggere o scrivere per cui non vi sarebbe neppure la
possibilità di verificare eventuali disturbi in queste specifiche aree degli apprendimenti. D’altro
canto e’ innegabile che un intervento precoce, peraltro raccomandato nelle linee guida allegate
alla legge 170 e nel decreto Ministeriale del 17 Aprile 2013, potrebbe garantire maggiori margini di
recupero della difficoltà specifiche permettendo l’attuazione di percorsi di potenziamento di alcuni
prerequisiti o su aree strumentali ancora in fase di sviluppo. Questa possibile “distrazione” del
legislatore (o sarebbe meglio dire dei tecnici del settore) e’ stata in parte colmata dalle successive
direttive ministeriali il materia di Bisogni Educativi Speciali (BES). Con l’acronimo BES ci si riferisce
a molteplici condizione transitorie o permanenti che limitano l’apprendimento del bambino e di
fatto coinvolgono anche aree più globali come il linguaggio, le competenze motorie e, in
un’accezione ristretta, anche l’intelligenza sia cognitiva sia affettiva. Una delle novità più

importanti apportate da questa direttiva ministeriale (22 Novembre 2012) risiede nel
coinvolgimento della fascia evolutiva precedente alla scuola primaria ossia quella riguardante i
bambini dai 3 ai 6 anni.
L’identificazione precoce di una possibile difficoltà e la realizzazione in ambito scolastico di
specifici percorsi di potenziamento rendono molto più alta la probabilità di ridurre gli effetti
negativi di un potenziale disturbo sia nelle sue manifestazioni primarie (ossia specifiche della
funzione interessata dal disturbo) sia in quelle secondarie (limitando inevitabili frustrazioni
potenzialmente dannose sul piano dell’autostima del bambino e più in generale sul futuro
carattere della persona). Effettuare un rilevamento precoce ( o screening) significa
essenzialmente fare una previsione probabilistica ossia porre un sospetto (più o meno attendibile)
sulla presenza o futura insorgenza di una condizione disfunzionale. Lo screening non fornisce mai
risposte certe al 100% e dunque non equivale mai ad una diagnosi.
La scuola dell’infanzia è forse il contesto migliore per proporre uno screening poiché in questo
specifico ordine scolastico si avverte meno la pressione dei programmi ministeriali e delle verifiche
periodiche sulle prestazioni e dunque si avrebbe una maggiore possibilità di inserire numerose
attività di potenziamento proprio nella fase in cui i bambini si apprestano a sviluppare abilità
essenziali per i futuri apprendimenti scolastici.
Tra le aree maggiormente coinvolte nello sviluppo degli apprendimenti scolastici strumentali di
lettura e scrittura risiedono, come dimostrato in numerosi studi, certamente le abilità di
linguaggio e le abilità prassiche legate alla motricità fine. L’abilità di letto-scrittura è fortemente
correlata al corretto sviluppo delle abilità linguistiche soprattutto alla capacità del bambino di
riflettere consapevolmente sui suoni che compongono le parole e le frasi. Questa specifica
competenza prende il nome di metafonologia e generalmente emerge, stimolata dalle insegnanti,
intorno ai cinque sei anni di età. Generalmente nell’ultimo anno di scuola dell’infanzia i bambini
prescolari vengono avviati a diverse attività linguistiche che prevedono la segmentazione e la
fusione delle parole in sillabe. Contemporaneamente si lavora anche sulle abilità manipolative e di
coordinamento occhio mano. La stimolazione di queste due macroaree funzionali garantisce o
dovrebbe garantire la corretta acquisizione nella prima classe primaria delle regole convenzionali
di conversione fonema segno (lettera) e la loro relativa trascrizione su carta. Stante tale modello è
naturale dedurre che un eventuale ritardo o alterazione funzionale nello sviluppo dei prerequisiti
linguistici e prassici potrebbe comportare una maggiore probabilità d’insorgenza di un disturbo, o
anche semplice ritardo, nell’apprendimento della lettura e/o scrittura. La correlazione tra DSA e

pregresse condizioni di ritardo o disturbo specifico di linguaggio (DSL) sono ampiamente
documentati nella letteratura di settore sia nazionale sia internazionale. I concetti appena esposti
aprono a importanti considerazioni sul ruolo della didattica e dello screening nella scuola
dell’infanzia. Le Insegnanti di questo specifico ordine scolastico vengono oggi investite da una
nuova responsabilità nei confronti dei loro piccoli allievi: la consapevolezza del ruolo cruciale nello
sviluppo di alcune abilità fondamentali nelle successive fasi scolastiche. A questo punto della
discussione qualcuno potrebbe obiettare che anche prima le maestre avevano questa
responsabilità e tale obiezione di fatto non costituirebbe un errore ma va comunque precisato che
la mancanza di precise linee guida in merito a questo ambito funzionale non ha permesso negli
anni lo strutturarsi di uno standard nelle proposte didattiche. A tale proposito basta guardare alle
differenze offerte formative esistenti nelle diverse scuole dell’infanzia. In questo specifico
panorama di cambiamenti e di fermento nel mondo della scuola la FISM di Sassari ha voluto
promuovere importanti momenti formativi per le proprie insegnanti per avviare un percorso di
crescita professionale e di alta professionalizzazione dei propri operatori. Negli ultimi due anni
sono state condotte diverse attività di formazione finalizzate a fornire strumenti conoscitivi sui
principali modelli evolutivi di sviluppo delle abilità cognitive nei bambini dai 3 ai 6-7 anni. Sono
state altresì condotti alcuni rilevamenti (ad opera delle Insegnati) nelle diverse scuole della
provincia di Sassari per intercettare tempestivamente potenziali condizioni di ritardo sia nelle aree
linguistiche sia nella motricità di base. Va precisato che nei profili di sviluppo neurotipico e
abbastanza frequente riscontrare tempi differenti nel raggiungimento di determinate abilita
cognitive; tale fenomeno è particolarmente evidente nelle prime fasi di sviluppo del bambino.
Alcune teorie, tuttavia, sostengono che l’assenza di modificazioni in seguito a potenziamento
sistematico delle abilità sia un segnale di un potenziale disturbo della funzione. Le Insegnati hanno
dunque attivato alcune attività di potenziamento e successivamente hanno ri-osservato i bambini
per verificare eventuali cambiamenti. Queste diverse attività hanno permesso alle maestre una
visione più attenta e consapevole dei bambini, una visione maggiormente legata alla conoscenza
di alcune fasi dello sviluppo e della loro importanza nello strutturarsi delle competenze future.
Sulle pagine di questa stessa rivista (Aprile 2015 pp.43) la professoressa Zucchermaglio scrive che
non è mai corretto pensare allo sviluppo dei bambini come a qualcosa di lineare o semplicemente
biologico e che di fatto i bambini affrontano uno sviluppo culturale che dipende non dal tempo
che passa (anni del bambino) ma dalle esperienze che questi vivono, ossia dalle attività sociali e
scolastiche a cui vengono esposti. Questo specifico rimando, che potrebbe apparentemente

sembrare in contraddizione con quanto affermato in questo contributo, di fatto si allinea
perfettamente al nostro pensiero di fondo che non vuole in nessun caso “etichettare” o
“patologizzare” il bambino e la didattica bensì apportare nuovi strumenti di conoscenza finalizzati
a far emergere in ogni bambino le proprie potenzialità.

Riferimenti bibliografici
AA.VV. (2011), DSA. Documento d’intesa, PARCC, http://www.lineeguidadsa.it.
Stella G. (2014), Screening e potenziamento nella scuola, Psicologia e Scuola, n. 32 pp.34-41
Zucchermaglio C. (2015), Diversità e differenze. La sfida educativa; Prima i Bambini Aprile 2015
pp. 43-52.

Immaginabilità nella dislessia

L’immaginabilità può essere definita come “la facilità e rapidità di una parola a evocare un’immagine mentale, una rappresentazione visiva, un suono o qualche altra esperienza sensoriale” (Cornoldi, 1974; Paivio, Yuille e Madigan, 1968; Roncato, 1974) o “il grado in cui la rappresentazione del significato di una parola ha proprietà senso-motorie” (Strain, Patterson e Seidenberg 1995). Oggetto di studio per lungo tempo insieme ad un’altra variabile a questa correlata, la concretezza, l’immaginabilità rappresenta quella di maggior interesse, essendo un potente predittore delle prestazioni di lettura nei pazienti con dislessia profonda, i quali, a motivo di un severo deficit fonologico, sembrano leggere esclusivamente per via semantica (Allport e Funnel, 1981; Coltheart, Patterson e Marshall, 1980). I dislessici profondi infatti appaiono agevolati nella lettura delle parole di alta piuttosto che di bassa immaginabilità (Coltheart, Patterson e Marshall, 1980; Denes, Cipolotti e Zorzi, 1999; Funnell, 1987; Marshall e Newcombe, 1973; Plaut e Shallice, 1993).

Recenti studi hanno circoscritto gli effetti dell’immaginabilità ai pazienti con disturbi acquisiti (Balota, Ferraro e Connor, 1990), limitatamente alle parole irregolari di bassa frequenza (Cortese, Simpson e Woolsey, 1997; Strain, Patterson e Seidenberg, 1995; Zevin e Balota, 2000), o ai poor readers (lettori mediocri) (Coltheart, Laxon e Keating, 1988; Strain e Herdman, 1999); un quadro analogo emergerebbe per l’italiano, dove questa variabile semantica non sarebbe un predittore significativo delle prestazioni adulte di lettura (Barca, 1999; Barca, Burani e Arduino, 2001; Bates, Burani, D’Amico e Barca, 2001). Tuttavia, l’immaginabilità sembra esplicare una certa influenza durante le primissime fasi dell’apprendimento della lingua scritta e quindi sulla lettura dei bambini delle prime classi elementari, perlomeno nella lingua inglese.

L’esigenza di indagare meglio gli effetti dell’immaginabilità sulla lettura dei bambini di lingua italiana e, al tempo stesso, l’influenza della frequenza d’uso, ha portato alla costruzione di una nuova prova di lettura di parole (Mazzotta, 2003), calibrata con caratteristiche psicolinguistiche tali da renderla particolarmente sensibile agli effetti di queste due variabili, e alla loro reciproca interazione (Mazzotta, Barca, Marcolini, Stella, Burani, 2005). Questo studio ha contribuito a dimostrare come la frequenza della parola influisca sia sull’accuratezza che sulla velocità di lettura dei bambini, confermando risultati precedentemente osservati sia su bambini (Brizzolara et al., 1994; Burani et al., 2002; Marcolini e Burani, 2003; Martini et al., 2002; Maschietto e Vio, 1998; Tressoldi, 1996) che su adulti italiani (Barca et al., 2002; Bates et al., 2001), nonostante l’italiano sia una lingua con corrispondenze  ortografico-fonologiche regolari, suggerendo perciò che la lettura lessicale sia disponibile e relativamente efficiente già nei bambini di terza e di quinta
elementare. Ha inoltre rilevato un effetto, anche se modesto, della variabile semantica dell’immaginabilità, che risulta influenzare significativamente la velocità di lettura dei bambini solo per le parole di bassa frequenza.

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